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Le paludi pontinie nella pittura e nella letteratura

Horace Vernet (1789 – 1863): Le paludi Pontine (1833)

Horace Vernet (1789 – 1863): Le paludi Pontine (1833)

Oltre che nella pittura, anche nella letteratura è descritto il fascino delle paludi pontine e le imprese di risanamento tentate e compiute per soggiogare questa indomita natura. Acquerelli, disegni, poesie e racconti sono disponibili nella sezione pontiniawebDOC per scoprire la natura del territorio dove poi sorgerà Pontinia e la altre città fondate a seguito del compimento della bonifica idraulica integrale.

Con i pittori nelle paludi Pontine #1

Riportiamo di seguito l’estratto di pertinenza per il territorio di Pontinia di un’interessante studio condotto da Paolo Emilio Trastulli disponibile integralmente qui.

“Il litorale laziale da Passo Oscuro a Terracina era in buona parte caratterizzato dalla presenza di stagni e paludi. Alla destra della foce del Tevere lo sta gno di ponente proseguiva nelle terre paludose di Maccarese, per lo più sottacqua tutto l’anno; sulla sinistra del fiume, nelle vicinanze di Ostia antica , lo stagno di levante nutriva la ricca pineta di Castel Fusano dietro la quale corre fino ad Anzio il lido virgiliano dello sbarco di Enea; da Torre Astura a Terracina la spiaggia segnava il limite occidentale delle Paludi Pontine. Queste occupavano la regione compresa tra il mare e i monti Lepini, attraversata dal lunghissimo rettilineo della via Appia e solcata da rivi, fiumi e canali (Rio Martino; fiumi Sisto, Ufente, Amaseno; Canale delle Volte, per citarne alcuni); dalla tenuta di Conca (tra Cisterna e Torre Astura) fino al lido tra San Felic e e Terracina il paese era coperto dalle macchie di Cisterna e di Terracina. Territorio e paesaggio sembravano usciti dalla creazione ed erano tali da sollecitare ampiamente la fantasia degli artisti, letterati e pittori che fossero. [… omissis…]

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Le paludi pontine nella letteratura

Statua della Dea Feronia a Cisterna di Latina

Realizzata dallo scultore Ernesto Biondi tra il 1885 ed il 1890, la “Bella Ninfa”, molto probabilmente la Dea Feronia che con il braccio destro innalza un ramoscello d’ulivo, è il simbolo della vittoria della bonifica sulla palude e quindi sulla malaria, rappresentata da una figura demoniaca incatenata e distesa sotto i piedi della dea. La forma tozza creata dai massi di granito e stalattiti del Trentino, allora Impero Asburgico, rappresenta una montagna con grotte e anfratti che emerge dalla palude prosciugata sorreggendo la dea Feronia (marmo h. 210) mentre schiaccia la malaria. space_whtLa base è costituita da una vasca circolare con gradinate. All'interno della vasca ed ai piedi del rilievo erano posti gruppi scultorei rappresentanti giovani pastori e loro bestiame. L'opera, un esempio di "realismo borghese" dell'Ottocento, risentì duramente dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale durante la quale la statua della dea Feronia venne decapita ma presto restaurata

La Feroniade è un poemetto iniziato da Vincenzo Monti nel 1784 in occasione dell’inizio dei lavori delle bonifiche delle Paludi Pontine intraprese da Papa Pio VI , impresa di sistemazione idraulica, immane per l’epoca, che, anche per gli sconvolgimenti politici, fu presto abbandonata. Il poemetto anch’esso interrotto, fu invece a più riprese continuato dal Monti che ci lavorò fino alla morte, quando era tuttora incompleto. Il titolo viene dalla ninfa Feronia, amata da Giove, ma perseguitata dalla gelosa Giunone che trasformò i campi abitati dalla ninfa in una malsana palude. Il poemetto riprende lo stile della poesia didascalico-georgica che aveva avuto un grande sviluppo nel settecento, ma si risolve principalmente in uno spunto per il racconto mitologico.

“La questione della Feroniade sotto il profilo testuale appare molto complicata: gli studiosi del Monti lo sanno. Concepita e avviata negli anni romani, l’opera fu infatti interrotta e ripresa in più occasioni durante il periodo milanese, come variamente attestano pagine dell’epistolario: tra il 1811 e il 1814 (nel triennio successivo e nel 1821 invece è documentata una stasi), ancora nel 1825 e subito in seguito; ma è lasciata incompiuta.1 Scrivendo da Milano a Samuele Jesi il 19 aprile 1827, un anno prima di morire, l’autore esprimeva tutta al sua mestizia per non avere più la forza intellettuale di percorrere l’ultimo esiguo tratto creativo, forse anche solo di una cinquantina di versi, che lo separava dal traguardo.2 Negli anni, anzi nei decenni, di lavorio al poemetto mitologico dovette comportare annodamenti di

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Le paludi pontine: poesia e citazioni

Aleardo Aleardi nel canto “Monte Circello” cita le paludi pontine restituendone una forte immagine poetica. Le Paludi Pontine compongono buona parte dell’Agro Romano; lunghe circa trenta miglia da Cisterna a Terracina; larghe meglio che venticinque da Sezza (Sezze) a Monte Circello (promontorio del Circeo), Secondo Plinio, ivi erano ventitrè città, oltre a innumerevoli ville. Ora la “mal’aria” tiene spopolata quella vasta pianura, la quale in molte parti è feracissima. I soli Sabini e gli Abruzzesi, sfidandone le febbri mortali, ardiscono scendere dai loro rnonti per guadagnarsi un pane colà al tempo della mietitura. La miserabile condizione di que’ mietitori è dipinta energicamente dalla risposta, che mentre io ero a Terracina, mi dicevan data a un viaggiatore. «Come si vive costì?» chiese questi passando. A cui l’Abruzzese: «Signore, si muore.»

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La lestra

Lestre

Lestre

La Lestra era la primitiva e rudimentale dimora dei c.d. lestraioli, la popolazione che durante parte dell’anno (ed in pochi casi stabilmente) abitava nella palude prima dell’avvento della bonifica integrale.La lestra era una capanna, costruita con giunchi intrecciati, solitamente a base rettangolare o ellittica con una copertura conica molto accentrata. Tale tipologia, molto arcaica, risutla similie nella forma alle capanne di alcuni villaggi africani. Il pavimento era costituito da assi di legno oppure di uno strato di fasci miste a calce bianca. La copertura conica, invece, è formata da uno spesso strato di cannucce palustri oppure scaglie di corteccia o tavolette di legno.

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