Il Duce celebra la nascita di Littoria preannunciando il sorgere dei comuni di Sabaudia e Pontinia
Una dettai gloriosa nella storia della Nazione “Quello che fu invano tentato durante il passare di venticinque secoli, oggi noi stiamo traducendo in una realtà vivente. E’ questa la guerra che noi preferiamo; mà\occorre che tutti ci lascino intenti al nostro lavoro,, Ir ‘ I i Littoria, 19 mattino. Per la terza volta, nel breve giro di un anno, Mussolini è tornato nell’Agro Pontino. Ogni visita è stata una tappa nella storia della bonifica di questa terra.La prima, nel novembre dell’anno scorso, fu dedicata ai lavori di sistemazione idraulica e segnò l’atto di morte della millenaria palude. La seconda fu nell’aprile, e alla presenza del Duce fu avviata vigorosamente la bonifica agraria nella zona centrale della vastissima regione. La terza visita, quella di ieri, e stata la celebrazione del definitivo trionfo della vita umana sul desolato squallore dell’acquitrino; è stata l’inaugurazione di un comune agricolo dal bel nome sonante: Littoria. Quando si dice inaugurazione di un comune si pensa ad una borgata che, ingrossata a poco a poco e cresciuta di importanza, si stacca dal comune originario e diviene autonoma. Littoria non è nata così. Due anni fa non esisteva, nè esisteva alcun centro abitato all’interno per un raggio di decine e decine di chilometri. Un anno fa era un aggregato irregolare di case e di officine improvvisate, in cui riparavano, a sera, coi loro strumenti di lavoro, squadre raccogliticce di operai, intente a scavar canali e ad aprire strade, e si chiamava Quadrato. Oggi è un bel paese italico, assiso con le sue case bianche e rosa al centro di una pianura già fiorente. Un’aria di festosa felicita, un’aria di fresco, di lindo, di gaio spira per le sue vie nuovissime. C’è un palazzo municipale maestoso e solenne, con una gran torre di quaranta metri; c’è una chiesa, una scuola, un albergo, un ambulatorio, una casa del Fascio, una 3ede del Dopolavoro, una caserma. Dalla piazza alberata e vasta quasi quanto piazza Colonna a Roma, si parte una raggerà di levigatissime strade, e ognuna si disperde lontano nei campi tagliati a poderi, coltivati, abitati. La marcia dei pionieri Littoria ha seimila abitanti stabili. Ci sono comuni in Italia che hanno una popolazione ancora più esigua e non è nel numero la caratteristica di Littoria. E’ singolare, piuttosto, che di questi seimila lavoratori solo uno sia nativo del luogo, il più giovane in senso assoluto, un bambino nato poche settimane or sono. Gli altri vengono di lontano, dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Emilia, dalla Toscana, dalle popolose terre meridionali. Sono famiglie che la disoccupazione e l’indigenza travagliavano. In altri tempi avrebbero assaporato il pane salato dell’emigrazione. Oggi hanno trovato assistenza e conforto nell’Opera Nazionale Combattenti. Raccolti, organizzati, equipaggiati, muniti d’ogni strumento necessario, sono stati portati quaggiù a prosciugare la terra e a coltivarla. Erano turbe di infelici e di malcontenti, gente angosciata ed avvilita. Il Regime ne ha fatto dei contadini che domani saranno dei proprietari. E’ la tranquillità, la pace, il lavoro fecondo, l’avvenire. Ieri gli abitanti di Littoria hanno lasciato per tempo le case coloniche diretti al paese. Littoria ha infatti questo di bello: che non più di cinquecento persone in tutto risiedono nel centro abitato. Le famiglie vivono nei poderi. Ma ieri solo i vecchi, e neppure tutti, sono rimasti in campagna. Gli altri si sono moss? in ordinati cortei di camicie nere, di gagliardetti e di bandiere. Dal cielo, di un nitore primaverile, scendeva una luce limpidissima ad illuminare la marcia dei pionieri. Di lontano, più lontano, giungeva lo strepito di altre processioni: erano dense colonne di popolazione e file di camions carichi di gioventù canora, e automobili scivolanti rapide sulle belle strade nuove della bonifica e teorie di biciclette e di motociclette rombanti. Da Roma, dagli antichi pittoreschi paesi della gronda montana, dai villaggi recenti dell’immensa pianura ridente, era tutto un accorrere alla nascita di Littoria, al battesimo del comune primogenito della regione pontina, alla festa del lavoro umano, vittorioso sulle ostilità della natura. Fanfare, gagliardetti, bandiere, automobili, camions, biciclette, motociclette, colonne in marcia animavano un paesaggio nuovo, un paesaggio di campi arati, di case coloniche, di stalle, di fienili, di bigattiere, di macchine agricole mostruose e immani come animali favolosi. Dov’era la terra maledetta, la terra malata, cara al gusto dei romantici, con l’intrico selvaggio della lussureggiante vegetazione tra cui occhieggiava, con sinistro lampeggiare, l’insidia dell’acquitrino? Solo qualche abbandonata capanna di argilla e di paglia qua e là richiamava alla mente l’ngoscioso passato e faceva più splendido il rifiorire della vita sulla astica desolazione. Erano immagini /Vii’altri tempi, quando solo mandre di bestiame e torme sparute e cenciose di legnaiuoli e di carbonai si awen turavano nella micidiale pianura, per poi fuggire ai primi calori sui Monti Lepini, lungi dall’alito pestifero della palude. Arriva il Duce Mentre la grande mobilitazione si compieva e andava a concludersi nell’abitato di Littoria, Mussolini giungeva nella palude pontina. Accom¬ pagnato dal Sottosegretario alla Presidenza on. Edmondo Rossoni, egli arrestava la macchina in località Casal Don Luca, al 6O.0 chilometro dell’Appia. Vi erano ad attenderlo il Commissario governativo all’Opera Nazionale Combattenti, on. Valentino Orsolini-Cencelli, Podestà di Littoria, il Ministro Acerbo, il Sottosegretario Serpieri, il capo Ufficio stampa del Capo del Governo, on. Gaetano Polverelli, ed un piccolo gruppo di autorità e di tecnici dell’Opera. II Duce, che vestiva l’uniforme di caporale d’onore della Milizia, sceso dall’automobile, saliva in una macchina aperta, pilotata dall’on. Cencelli, nella quale prendevano posto il Ministro Acerbo, i Sottosegretari Rossoni e Serpieri e l’on. Polverelli. Deviando dall’Appia per le strade della bonifica, la macchina, seguita da un piccolo corteo di altre automobili, si internava nella zona e la visita incominciava. In luogo di puntare senz’altro sull’abitato di Littoria, l’on. Cencelli ha condotto il Duce a vedere i campi, i diecimila ettari di terreno in cui è discesa prima, con l’esercito dei suoi colonizzatori e l’armata potente delle sue macchine, l’Opera Combattenti. Si è girato e girato intorno a Littoria, avvicinandola sino a due o tre chilometri, poi, allontanandosene per dieci e più, percorrendo sempre lo scacchiere dei poderi. La corsa è durata un’ora e venti, ,e si è svolta su quaranta chilometri di strade poderali. Ha toccato centri ridenti che saranno i paesi e le città di domani : Capograssa, Casal dei Pini, Borgo Piave, Borgo Grappa, Pontina Isonzo, Borgo Carso. Nessuno, all’infuori di qualche vecchio, si incontrava nelle strade e dinanzi alle case, perchè tutti erano già a Littoria, in attesa del Duce. Ma in ogni villaggio, presso la direzione dell’Azienda, un guardiano sostava ai piedi di una grande antenna con in mano il tricolore, e quando arrivava Mussolini, lo inalberava, salutando romanamente. Mussolini faceva arrestare la macchina, scendeva e sostava in silenzio, il braccio levato dinanzi alla bandiera. Poi, via di nuovo per la campagna. Di quando in quando il Duce si fermava a visitare l’interno dei poderi, delle direzioni d’azienda, degli uffici. Terminato il giro, l’automobile del Duce si è diretta a Littoria e ha percorso il nuovo, grande e bellissimo giro di Circonvallazione, lungo il quale erano schierate le macchine agricole, le Pavesi, le Fowler possenti, le trattrici Balilla. Presso ogni macchina era un uomo che salutava : dal viale Mussolini è entrato nell’abitato ed è giunto in piazza. Tre squilli di « attenti », seguiti dalle note di Giovinezza, hanno dato il segnale dell’arrivo ed hanno provocato una scena indescrivibile, fantastica, che resterà indelebile nella memoria di re di Roma, il prefetto, il preside della provincia, principe Pietro Colonna, il generale Teruzzi, Capo di Stato Maggiore della Milizia, il generale Ademollo Lambruschini, comandante il terzo Raggruppamento delle Camicie nere, il Segretario federale dell’Urbe, Nino D’Aroma, gli onorevoli Tassinari e Giunti, rispettivamente presidente e segretario generale della Confederazione dell’Agricoltura, la medaglia d’oro Amilcare Rossi, presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti, la medaglia d’oro Ulderico De Cesaris, presidente della Federazione provinciale dei combattenti, l’avv. Delvecchio, in rappresentanza del Nastro Azzurro; il senatore Morpurgo, il Vescovo castrense, mons. Bartolomasi, il Vescovo di Velletri, gli accademici d’Italia Volpe e Marinetti, il gr. uff. Beer, capo di Gabinetto alla Presidenza del Consiglio, l’ammiraglio Pession, direttore generale delle Poste e Telegrafi, il Segretario del Fascio di Littoria ed altre numerosissime personalità. Era anche presente una larghissima rappresentanza dell’Unione provinciale dei Sindacati fascisti dell’Agricoltura, con a capo il comm. Lufrani. Prima che giungesse Mussolini, nella piazza s’era compiuto il rito della benedizione dei vessilli del Comune e del Fascio di Littoria, i-. delle locali sezioni dei Combattenti >3 dei Giovani fascisti. Il Vescovo castrense, mons. Bartolomasi, era apparso al balcone centrale del Palazzo comunale e da qui, mentre la folla salutava romanamente, aveva asperto di acqua lustr die i lembi dei drappi, pronunziando la formula rituale. La folla, che aveva seguito Io svolgimento del vito con viva attenzione, inchinando i gagliardetti delle organizzazioni fasciste in segno di omaggio, ne aveva poi salutato il compimento con una vibrante acclamazione. L’offerta delle chiavi Mussolini ha attraversato la piazza di Littoria tra rinnovate, fervidissime manifestazioni di popolo, e si è fermato dinanzi all’ingresso del Comune. La porta era chiusa e un ragazzo di Littoria gliene ha offerto le chiavi. Mussolini le ha prese, ha di’ schiuso i battenti, è scomparso all’in’ terno, seguito dalle altre autorità. Il tempo in cui egli si è trattenuto nel palazzo è passato, fuori, tra un crescendo di travolgenti dimostrazioni. Scrosciavano gli applausi, salivano al cielo le invocazioni di Duce! Duce!, ululavano le sirene, suonavano le campane, esplodevano i mortaretti e i petardi. La tempestosa e gioiosa sinfonia annunziava la nascita del Comune agricolo e fascista di Lit toria. Intanto Mussolini appariva di tra gli archi della cella campanaria, scompariva di nuovo, riappariva, infine, sulla sommità della torre. Qui egli stesso issava il tricolore, spie- zlone preziosa e Intelligente. Il 21 gennaio 1932 si gettavano le fondazioni della prima oasa colonica; il 5 aprile Voi, Duce, veniste a confortare il nòstro duro lavoro’e deste il via per il dissodamento alla più grande e potente adunata di macchine che la storia dell’agricoltura ricorda. E in quel giorno Voi decideste là nascita di Littoria. Il 30 giugno 1932 Volala di 5000 operai salutava, nel Vostro nome, la posa della prima pietra’ di Littoria. Il 27 ottobre 1932 arrivavano, sempre attraverso il Commissariato delle migrazioni interne, le prime 19 famiglie coloniche che oggi assommano già a 445. « Oggi, 18 dicembre 1932, Voi, Duce, venite a consacrare con la Vostra presenza il nostro lavoro, la nostra fede in Voi e per Voi, e a dare vita e luce ad una delle più belle gemme dei Regime. L’attuale circoscrizione di Littoria, che il 1° novembre 1931 contava 2013 abitanti, dei quali 1192 stabili e 821 temporanei, oggi, 18 dicembre 1932, giorno del primo censimento, è salita a 17.800 abitanti, dei quali 6308 stabili e 11.402 temporanei. L’Opera Nazionale Combattenti è orgogliosa di averVi fatto il più bel dono per 11 Decennale compiuto, ed è sicura di essere il miglior auspicio per quello che ora si inizia. Viva 11 Duce! ». Il discorso dell’on. Cencelli è stato vivamente applaudito. A dare il segnale dell’applauso è stato Mussolini. chiunque ebbe la ventura di coglier-1 gandolo al vento, poi si spingeva in : ‘fuori, guardava in giù, salutava il popolo tra. cui l’entusiasmo passava come un vento d’uragano, tutto commuovendo e scomoigliando. Lasciata la torre. Mussolini è rientrato nel palazzo. Qui dall’on. Cencelli gli è stato offerto un astuccio finemente lavorato. Dentro l’astuccio era una pergaun tiunuìto festoso. Bandiere al”ven-jmena: il decreto podestarile che conto, gagliardetti roteanti, cappelli e; feriva al Duce la cittadinanza onoraberretti in aria, turbinìo di braccia’na di Littoria, levate. Dagli ottoni lucenti delle ban- \ Poi il Duce si è affacciato al balde dilagavano torrenti di musica ga-jcone della Podesteria. Una bottiglia gliarda. Gli applausi soverchiavano1 J la coi proprii occhi mortali, di viverla e di sentirla col palpito del proprio cuore. II festoso tumulto Trentamila persone erano ammassate entro la cerchia dei pubblici edifici di Littoria e si abbandonavano ad quindici o venti anni, il possesso definitivo del loro podere. Io dico ai contadini e ai rurali, che sono particolarmente vicini al mio spirito, che essi, da vecchi soldati, debbono affrontare fieramente le difficoltà che si incontrano quando si comincia una nuova fatica. Debbono guardare a questa terra che domina la pianura e che è un simbolo della potenza fascista. Convergendo verso di essa troveranno, quando occorra, aiuto e giustizia! Mussolini ha finito. Una prolungata, formidabile ovazione lo saluta. Nella piazza si disfrena di nuovo il più veemente entusiasmo. Tutto è in movimento, tutto si agita, tutto Mussolini te musiche, i canti soverchiavano gli applausi, le grida soverchiavano i canti. Uomini, donne, bambini, operai, agricoltori, artigiani chiamavano di spumante gli è stata pòrta; egli l’ha afferrata e l’ha sbattuta sul davanzale, infrangendola. Il liquido è colato giù gorgogliante. Due bandiere venivano intanto issate a destra il Duce con voce vibrante di passio- e a sinistra del balcone centrale: il ne. La piazza era addobbata come uni tricolore e il gonfalone del nuovo cosalotto. Tutti gli edifici erano fascia-limine, donati entrambi a Littoria ti del tricolore. Al centro dell’am-l dalla provincia di Roma. Il gqnfalomassamento, al posto d’ onore, era-1 ne di Littoria è uno dei più belli no i seimila bambini di Littoria. At-| d|Italia. Nero, ha al centro un gran torno a loro erano disposti gli ope-‘ disco azzurro, su cui campeggiano rai e gli agricoltori occupati nelle al- j spighe di grano, fasci littorii e l’eltre zone di bonifica, da Doganella a metto del fante. Nuovi applausi, Passo Genovese, da Elena a Epitaffio, 1 nuove acclamazioni, fino a che un trida Caronte a Foceverde. Tredicimi-j plice squillo ha imposto il silenzio, la persone in tutto, anch’esse venute’ quaggiù da ogni parte d’Italia a cimentarsi nell’ impresa gigantesca : scavatori di canali, dicioccatori, muratori, scalpellini, elettricisti, terrazzieri, agricoltori; ruvide casacche, facce cotte dal sole e dai riverberi, mani callose e, quanto ai luoghi di origine, ferraresi e campani, pugliesi e mantovani, emiliani e veneti; chi impugnava una bandiera, chi inalberava una scritta, chi stringeva gli strumenti della quotidiana fatica: una zappa o un badile. C’era poi la legione Volsca della M.V.S.N., c’era’ Il discorso dell’on. Cencelli L’on. Cencelli, che era a fianco del Duce ha preso la parola. Egli ha detto: « Duce, come Podestà di Littoria io Vi assicuro della devozione illimitata dei littoriani che, sempre e in ogni luogo, saranno all’altezza del nome che portano. Come Commissario del Governo dell’Opera Nazionale Combattenti, io Vi esprimo la nostra riconoscenza per averci sempre dato il Vostro prezioso consiglio e sempre assistito con affettuosa e vigile cura, ritenendo . , che solo i combattenti di Vittorio Vello alcune migliaia di Giovani Fasci- net-o-fossero degni di affrontare un prosti accorsi dai centri vicini col loro blema che oa millenni attendeva di esfremente entusiasmo ed i fazzoletti I sere risolto. Come squadrista della dudai colori fiammanti, c’erano gli À- ra vigilia, io Vi dico il mio grazie più vanguardisti, i Balilla, i Giovani e le|™°’ n;„,^,i« -[iai:„„„ „ „,„„’„ :_«„„ : „„ 1 cino a Voi nella realizzazione di una Piccole Italiane, e cerano infine 1 po-:delle iu ndl impreSe dell’Italia musdesta dei comuni finitomi, da Velie-1 solir.ianar tri a Terracina, da Cisterna a Sezze,1 « Nessun Comune può vantare una con i gonfaloni e con squadre di fa-istoria breve e luminosa come Littoria, scisti recanti grandi cartelloni. Si’nessun Comune può dire di essere sorto leggeva in uno di questi cartelloni: dauna lotta contro la natura e da una , fi,,.„ ristorna fàVi^tn p fiora rli febbre di lavoro come Littoria. Ma più « Duce, Cisterna lasciata e nera ai, h , parole valgono le date, che posaver dato un po del suo territorio sono espsere ineis| veramente nel marper la più grande realizzazione fa-mo, a testimoniare nei secoli futuri il scista ». E in un altro: « Duce, an- nuovo spirito, la nuova anima italiana che Fondi marcia verso la redenzione della sua terra ». A ricevere Mussolini nella piazza si era raccolto un foltissimo gruppo di autorità, tra cui i Ministri Ciano ed Ercole, i Sottosegretari di Stato Arpinati e Romano, il Governato- creata da Benito Mussolini. Il 6 novembre 1931 l’Opera Combattenti prendeva possesso di auesta landa sino allora maledetta. Il 7 novembre 1931 arrivava il primo treno di 1300 operai per il disboscamento, mandati dal Commissariato per le migrazioni interne, che ci ha dato sempre una collabora- Quindi è il Duce stesso che ha preso la parola. Nel silenzio teso e raccolto la sua voce giungeva agli angoli più remoti della piazza limnida e chiara. Egli ha detto: Camerati! Oggi è una grande giornata per la Rivoluzione delle Camicie nere. E’ una giornata fausta per l’Agro Pontino. E’ una gloriosa giornata nella storia della Nazione. Quello che fu invano tentato durante il passare di venticinque secoli, oggi noi stiamo traduomdo in una realtà vivente. Sarebbe questo il momento per essere orgogliosi. No! noi siamo soltanto un poco commossi, e coloro che hanno vissute le grandi e traaiche aiornate della querra vittoriosa, passando davanti ai nomi che ricordano il Grappa, il Carso, l’Isonzo> il Piave sentono nel loro cuore tumultuare i vecchi ricordi. Noi oggi, con l’inaugurazione ufficiale del nuovo Comune di Littoria, consideriamo compiuta la prima tappa del nostro cammino. (Applausi vivissimi). Abbiamo, cioè, vinto la nostra prima battaglia. Ma noi siamo fascisti e quindi, più che guardare al passato, siamo sempre intenti verso il futuro (applausi scroscianti). Finché tutte le battaglie non siano vinte, non sì può dire che tutta la guerra sia vittoriosa. Solo quando accanto alle cinquecento case, oggi costruite, ne siano sòrte altre quattromila cinquecento, quando accanto ai diecimila abitatori attuali ve ne siano i quaranta-cinquantamila che noi ci /ripromettiamo di far vivere in quelle che furono le Paludi Pontine, solo allora potremo lanciare alla Nazione il bollettino della vittoria definitiva. (Applausi prolungati). * Non saremmo fascisti se già sin da questo momento non precisassimo con la esattezza che è nel nostro costume, con l’energia che è nel nostro temperamento quelle che saranno le tappe future, e cioè: il 28 ottobre 1933 si inaugureranno altre 981 case coloniche; il 21 aprile 1934 si inaugurerà il nuovo Comune di Sabaudi» (Applausi). Vi prego di notare queste date. Il 28 ottobre 1935 sì inaugurerà il terzo comune: Pontinia. A quell’epoca, per quella data, noi, probabilmente, avremo toccato la méta e realizzato tutto il nostro piano di lavoro. Voglio elogiare in primo luogo il presidente dell’Opera Nazionale Copibuttenti, poi i suoi immediati collaboratori, gli ingegneri, i tecnici tutti. Voglio elogiare gli operai venuti da tutte le parti d’Italia e i coloni che dalle terre del Veneto e della Valle del Po son venuti qui a lavorare. Sarà forse opportuno ricordare che una volta, per trovarp lavoro, occorreva valicare le Alpi o traversare l’Oceano. Oggi la terra è qui, a mezz’ora soltanto da Roma. E’ qui che noi abbiamo conquistato una nuova provincia. E’ qui che abbiamo condotto e condurremo delle vere e proprie operazioni di guerra. E’ questa la guerra che noi preferiamo. Ma occorrerà che tutti ci lascino intenti al nostro lavoro. (Applausi, acclamazioni). La nuova vita di Littoria comincia. Sono sicuro che i coloni qui giunti saranno lieti di mettersi al lavoro, lanche perchè hanno in vista, fra oscilla e si piega in un turbinio, in un vortice di passione. Musiche, canti, grida, acclamazioni, alala, si mescolano nel frastuono più potente che mai abbia squassato queste terre svegliate dal letargo millenario. E’ un canto formidabile di vita sul debellato segno della morte. Intanto Mussolini è disceso in piazza, si mesce alla folla, lascia che tutti gli si avvicinino, gli stringano la mano, gli manifestino, in un impeto di rozze e schiette effusioni, una riconoscenza che non conosce argini. Ci vuol del tempo perchè egli possa liberarsi dalla stretta affettuosa della folla. Poi le inaugurazioni si susseguono. I nastri tricolori che chiudono gli ingressi degli edifici cadono uno dopo l’altro, recisi dal secco colpo del pugnale. La caserma della Milizia, il bellissimo e modernissimo palazzo delle Poste e Telegrafi, la Casa dell’Onera Combattenti, quella dell’Opera maternità ed infanzia, quella dell’Opera Balilla aprono le porte alla folla che vi fa irruzione sulle orme del Duce. Questi passa mietendo espressioni di giubilo, di riconoscenza, di devozione. Là sono i Militi che l’accolgono con un vibrante «A noi»,., qua i Balilla e le Piccole Italiane che lo investono con un coro di voci argentine. Più oltre, lo attornia’ una folla di mamme, dagli occhi lucenti di commozione. Salutano l’Uomo da cui hanno avuto la terra, il lavoro, la pace. E questi sono gli ultimi episodi, belli e dolci episodi, dell’indimenticabile mattinata.