Gli autori del portale Internet pontiniaweb.it, nel processo di traduzione digitale della storia di Pontinia e delle esperienze creative volte a promuovere la storia, l’architettura ed il valore civico ed ambientale di Pontinia, pubblicano un breve racconto scritto dal fondatore dell’iniziativa telematica, Antonio ROSSI, premiato al concorso letterario città di Pontinia dello scorso anno quale miglior autore locale oltre a partecipare alla manifestazione organizzata dall’associazione Anonima Scrittori di Latina dedicata alla (r)esitenza: manuale di storie contemporanee.
“Il breve racconto è aderente alle sensazioni ed emozioni che ho provato studiando e riflettendo – racconta Antonio ROSSI – la rassegna stampa risalente all’epoca della fondazione ed inaugurazione di Pontinia. Mi piaceva raccontare in terza persona che ho immaginato essere proprio la festeggiata Pontinia i ricordi di quella giornata e una riflessione su come è oggi.” Il racconto, dunque, narra esattamente le vicende e el circostanze riportate dalle cronache dell’epoca acquisite nel corso degli anni da Pontiniaweb e donate all’istituendo museo civico. “Piove. La cordigliera frangivento resiste all’assalto del Maestrale che dal mare soffia riversandosi per le dritte migliare dell’agro cinte da queste fronde percosse ed agitate.
Il fitto stillicidio non scoraggia quanti si affrettano per celebrare la mia nascita. Il temporale infuria, vorticoso, sugli edifici fieri e composti, animati dalle lacrime che solcano i cornicioni, rigano le vetrate delle imposte, tracciando mille rivoli tra le rughe del rustico travertino e della rossa cortina senese.
La pioggia partecipa a questa giornata alterando i colori della campagna, scurendo gli intonaci dei nuovi edifici, creando torrenti che originano dagli scoli e finiscono inghiottiti dai tombini dove sono impresse le insegne dei miei natali. Il ritorno della palude dalla quale sorgo è scongiurato.
L’inaugurazione. Un cerimoniale già visto per le mie sorelle, nate con altra vocazione e sotto migliori auspici, ma l’entusiasmo sembra maggiore come pure la partecipazione avvertita, forse proprio dal maltempo e dall’assedio economico sopportato con fierezza, ospite ingombrante di questa festa.
Sento il fervore di tanti uomini che si adoperano ed agitano, vincono il freddo pungente, alcuni sono segnati in volto dalla stanchezza, logorati dalla fatica, altri mal vestiti ma tutti sono preda di una frenesia, infervorati… ma da cosa? E chi sono queste anime che spettrali si aggirano nei cappotti o casacche di fortuna, riparati sotto cappelli scuri che celano gli sguardi?
Migliaia di ombre percorrono le strade che cingono i sobri edifici, espressione di quell’indole rurale cui sono votati. Sono i simboli del mio essere e nascere, futuri protagonisti della vita civica, di indifferenze, tradimenti e riabilitazioni insperate.
Un teorema geometrico descrive le trame della tela viaria che percorre la città ispirata dalla musa razionalista e futurista: arterie che conducono al cuore civico e spirituale di questa comunità. Nuova nella fabbricazione perché creata dal lavoro e dal progresso tecnico dell’uomo che ha sconfitto la natura della mortifera palude; nuova nella sostanza perché abitata ed edificata da genti che coraggiose hanno accolto o subito questa migrazione nei territori redenti.
Uomini e donne, pionieri della bonifica, caduti per restituire al sole la terra che promette frutti fecondi con il sacrificio, la sofferenza, la volontà, il lavoro e quell’idea che li anima, li pervade, li annichilisce … li esalta.
Sono questi i miei geni ed il mio destino. E’ questo sentimento il seme del mio concepimento che porto impresso, indelebile, nelle mie insegne.
Non piove più. I raggi del sole trafiggono le nuvole e come fendenti squarciano il cielo che fa intravedere l’azzurro che colora il costume rurale delle mie donne ed i poderi che punteggiano la campagna tratteggiata da fossi, scoline e canali tracciati quale vallo per contrastare il ritorno della palude. Una minaccia tenuta al bando da quei polmoni elettro-meccanici che, soffiando per i canali, la respingono fino al mare.
Giornata della fede che in parte mi ruba la scena, contamina – ma come potrebbe essere altrimenti – il mio giorno. Lo ricordano le targhe commemorative, gli striscioni che mi legano a quest’altro evento in un sodalizio che mi sottomette o, come si potrebbe altrimenti dire, mi onora.
Gente semplice, povera, che ha già dato tutto, rinuncia ora anche al simbolo dell’amore per donarlo alla Patria, perché fedele all’idea per la quale dona ed immola l’ultimo ricordo di un figlio caduto in guerra, di un marito disperso al fronte e spontaneamente si spoglia degli ultimi averi per falciare altre vite e coltivare altri dolori o, nel dualismo di questa giornata, per esprimere quel senso di riconoscenza, ringraziando della terra avuta, della casa ricevuta, della speranza di un futuro prospero promesso a caro prezzo. L’ideologia è tangibile ammalia e seduce, miete vittime innocenti, arruola un esercito inconsapevole, diventa strumento di controllo per chi la tradisce in nome di se stesso.
Oggi a soli 73 anni, non sento la mancanza di quell’idea ma, di un’idea, non mi mancano quegli uomini ma la forza degli uomini, l’entusiasmo di fare per tutti e non per se stessi, l’adoperarsi per partecipare a qualcosa di grande da condividere e vivere insieme. Sono orfana del mio destino che sento sfuggirmi. Aiutatemi, aiutiamoci, aiutiamo … resistiamo! Pontinia (r)esiste”. © Antonio ROSSI