L’avventura di Mussolini si colora, oltre che di episodi drammatici, anche di avvenimenti nel loro genere farseschi. Uno di questi viene narrato da Enrico Mattei, che sulle colonne di Gente ha scritto i propri ricordi sugli anni del regime.
L’episodio risale all’autunno del 1935, anno di nascita di Pontinia, uno dei centri della pianura laziale (con Littoria, Sabaudia, Aprilia e Pomezia) nati dalla bonifica delle terre acquitrinose. E’ anche il periodo delle sanzioni economiche decretate contro l’Italia dalla ginevrina Società delle Nazioni, come ritorsione per l’attacco all’Etiopia; un momento di tensione quindi, nei rapporti internazionali, e per questo la presenza del Duce a Pontinia ha attirato nella zona centinaia di giornalisti italiani e stranieri. Si cerca di chiarire meglio le intenzioni di Mussolini.
Lo svizzero Hodel, presidente della stampa estera, affronta il Duce, lamentando che tanti inviati speciali giunti da pochissimo a Roma, ottengano facilmente con lui delle udienze private, mentre altri colleghi, da più lungo tempo nella Capitale, si vedono negare le interviste richieste. Mussolini si giustifica ricordando le raccomandazioni che gli vengono fatte da ambasciatori, ministri degli Esteri, capi di Stato:
“A non tenerne conto penso che incorrerei in una nuova condanna della Società delle… Sanzioni!”.
Sono giunte a Pontinia, per l’inaugurazione della città, delegazioni fasciste di tutti i comuni laziali, e migliaia di persone, che vogliono ascoltare il Duce. Mussolini non delude nè la folla, nè i giornalisti. Respinge, intanto, la proposta di creare in Etiopia una semplice zona di emigrazione per i lavoratori italiani, internazionalmente garantita: “Non manderemo in terre lontane e barbare il fiore della nostra razza, se non saremo sicuri che sarà protetta dal tricolore della patria”.
Poi attraversa le piazze ed i viali di Pontinia, tra la folla delirante: gli uomini sulla destra, le donne sulla sinistra. Lo seguono gruppi di fascisti che invitano i presenti a deporre nei loro elmetti da combattimenti quale “dono alla Patria”, le fedi nuziali. Man mano che gli elmetti vengono riempiti, li passano a Mussolini, che a sua volta dà ordine di consegnarli alla Zecca di Stato. L’atmosfera di entusiasmo è tale, ricorda Mattei, che provoca un’imprevista “vibrazione di solidarietà anche fra i giornalisti stranieri presenti. Due di questi, marito e moglie, polacchi, donano per primi la loro fede, trovando subito degli imitatori fra i colleghi”.
Non è un momento particolarmente favorevole per l’Italia sulla scena internazionale. La stampa straniera, nella grande maggioranza giudica severamente l’impresa africana, fra l’altro ricordando che ras Tafarì, diventato in seguito imperatore d’Etiopia, era stato a suo tempo, considerato amico dell’Italia tanto da meritarsi il collare dell’Annunziata, la massima decorazione italiana che lo consacrava, ufficialmente, cugino del Re Vittorio Emanuele.
La manifestazione di Pontinia, tuttavia, sembra conquistare la stampa internazionale. I giornalisti presenti trasmettono ai loro giornali una serie di corrispondenze che mettono in luce, quanto meno, la popolarità di Mussolini nel Paese. Questa popolarità non convince però, il direttore di un giornale di Denver, nel Colorado, che affida a un suo giovane redattore un’inchiesta su questo tema. Il giovane non se lo fa ripetere due volte. Lascia gli Stati Uniti, piomba a Roma, si impadronisce di una carta geografica, e percorre la zona di Pontinia domandando a ogni contadino che incontra se conosce il signor Mussolini. Racconta Mattei: “Il giornalista vuole che tutti gli interpellati segnassero il suo nome e indirizzo su un libricciolo che portava con sè; e al suo giornale inviò una corrispondenza per sostenere che la popolarità di Mussolini era un enorme bluff. Il giovanotto aveva girato la provincia creata dal Duce, anzi da lui redenta dalle acque, e dove pensava che perfino le pietre vibrassero di riconoscenza a sentire il nome di Mussolini. Ebbene, in questa provincia, su 300 persone da lui interpellate solo 103 avevano dato la prova di conoscere il nome di Mussolini, mentre le restanti 197 non lo avevano mai sentito nominare”.
A riprova dello scrupolo con cui l’inchiesta è stata condotta, il giornale di Denver pubblica sia i nomi di coloro che hanno dichiarato di conoscere Mussolini, sia di quelli che non lo hanno mai sentito nominare. Tutto finirebbe qui, se un solerte console italiano negli Stati Uniti non inviasse a Roma una copia del giornale. Viene così disposta un’inchiesta e la polizia convoca a uno a uno i 197 che hanno dichiarato di non aver mai sentito nominare “il signor Mussolini”.
Nessuno affronta l’interrogatorio alla leggera; negli anni del regime per una vicenda del genere si può anche essere condannati. Per fortuna l’equivoco viene presto chiarito. Il giornalista americano, nel suo terribile accento, ha chiesto ai contadini se conoscono “il signor Messalini”. Qualcuno è riuscito a ricostruire il nome di Mussolini; qualcun altro no. [testo tratto da ilduce.net]