535-510 a.C. Alcune fonti riportano che fin dal regno di Tarquinio il Superbo, ultimo dei sette re di Roma, l’Agro Pontino era una territorio pianeggiante, fertile, rigoglioso ed abbondante di selvaggina. Si ritiene, anche per via di una certa rappresentazione cartografica della zona anteriore al XIV secolo [vedi riquadro nella cronolgia successiva], che la pianura pontina, prima di trasforamrsi in palude, fosse ricoperta da un esteso lago che progressivamente andò prosciugandosi lasciando soltanto qulce acquitrino nelle zone più depresse e formando dunque la pianura pontina. Questo territorio era dominato da un antica popolazione laziale, i Volsci, che si erano insediati lungo l’arco dei monti lepini (o volsci) fondando numerosi centri, tra cui Sezze, Priverno e Terracina, che si afficciano sulla pianura pontina. Altri I Volsci avevano sviluppato un sistema di cunicoli per il drenaggio delle acque e per evitare il ristagno delle stesse, ottenendo così terre coltivabili. Infatti la morfologia e la natura del territorio non consenivano il naturale deflusso delle acque meteoriche e sorgive, abbondanti alle pendici dei monti lepini, anche per via dello scarso dislivello rispetto al livello del mare in alcuni punti inferiore allo stesso. La prosperità di quei territori attirava l’atrenzione dei romani ed è per questa ragione che a quell’epoca la pianura pontina era noto come Ager Pomptinus e non come palude.
404 a.C. Sebbene le fonti consultate spesso indichino i territori della pianura pontina alternativamente con il nome di Ager e Palus è lo storico latino Tito Livio che nel citare la città di Terracina, in occasione dell’assalto dato alla città, ad opera del console Romano Fabio Ambusto , la descrive come “urbs prona in paludes”. Tale citazione induce gli storici a presumere che già a quel tempo, con la progressiva avanzata romana, la pianura pontina tendesse ad impaludarsi. Infatti si ritiene che la guerra combattuta contro i Romani ed il successivo assoggettamento dei Volsci, abbia contribuito significativamente al decadimento dell’ager pomptinus, in quanto venne trascurata la cura dei territori e la manutenzione delle opere necessarie ad evitare il ristagno delle acque.
328 a.C. Con la caduta di Priverno, ultima roccaforte dei Volsci, ha inizio l’espansione della palude pontina, che successivamente raggiunse una estensione di circa 240Kmq. Della palude pontina vi sono testimonianze nelle opere dei classici latini, la più celebre delle quali è l’Eneide di Virgilio, nonché di quasi tutti gli storici di Roma antica e dell’età moderna. L’estendersi delle conquiste romane sortirono l’effetto di un progressivo disinteressamento del degrado di questi territori in quanto le nuove terre annesse consentivano approviggionamenti migliori ed immediati.
312 a.C. Con la costruzione della via Appia “longarum viarum regina” ad opera del censore Appio Claudio Cieco , che attraversa parte dei territori paludosi, oggi siti nel comune di Pontinia, vengono realizzate delle prime opere per evitare l’allagamento della strada e garantirne la percorribilità attesa l’importanza strategica e commerciale della via consolare per Roma.
218 – 202 a.C. E’ a questo periodo che generalmente viene fatta risalire la comparsa della malaria , per così dire, importata dalle truppe di Annibale in occasione della sua memorabile discesa in Italia con gli elefanti durante la seconda guerra punica . Questo morbo trasmesso dalla zanzara anofele infesta questi territori fino agli anni 20 del secolo scorso. La presenza della malaria concorse significativamente nello scoraggiare e ostacolare le già difficili opere di bonfica della palude pontina e contribuì alla triste fama della palude che successivamente, proprio per questo, venne definita oltre che sterile anche mortifera.
182 a.C. – 162 a.C. Il primo tentativo di bonifica di una parte dei territori paludosi, si deve al console P. C. Cornelio Cetego che, per evitare i continui allagamenti di un tratto della via Appia, con grande impegno di uomini e mezzi fece realizzare un primo tratto del “gran fosso”, oggi noto come Rio Martino. Tuttavia le incessanti guerre in cui erano impegnati i romani contro i Dalmati, i Liguri, oltre alle vicende politiche d quei tempo come le sedizioni dei Gracchi, le guerre civili di Mario e Silla e di Cesare e Pompeo vanificarono in buona parte gli sforzi fino ad allora compiuti. Gli storici sono concordi nel ritenere che è in questo perido che la palude si è fromata ed estesa.
98 a.C. I successivi interventi di parziale bonifica dei territori paludosi, ad opera degli imperatori, furono tutti orientati ad assicurare la percorribilità della via Appia che, attesa l’importanza della stessa, ha avuto un ruolo determinante nel risanamento, seppur incidentale, di parte della palude pontina. Di questi interventi quelli di maggior rilievo sono quelli operati da Traiano che hanno consentito l’elevazione della sede stradale dal livello dei terreni circostanti e la realizzazione del lastricato per la lunghezza di diciannove miglia. Furono costruiti, inoltre, edifici ed una foresteria, oltre a numerosi ponti tra cui Ponte Maggiore ancora oggi attraversato dalla via consolare.
La presenza dell’uomo
Gli antichi centri sorti sulle pendici dei monti lepini, che sono la corona della pianura pontina, conservano le rovine di remote civiltà come testimoniano i numerosi resti archeologici ed il rinvenimento delle tracce dell’uomo di Neanderthal sul promontorio del Circeo proprio nell’anno in cui veniva inaugurata Pontinia. Alcune teorie ipotizzano che le “paludi Pontine” furono abitate dal “Paleantropus” o “homo primigenius” oltre 300.000 anni orsono. Le antiche popolazioni che abtitavano questi luoghi, fin dall’alba della civiltà, hanno trovato nei territori a monte, paludosi o fertili che fossero (le fonti sono confuse a tal proposito), un valido sostentamento che ha influito nello sviluppo della propria civiltà che ha raggiunto, in epoca pre-romana, già un livello avanzato soprattutto da parte dei Volsci che tanto si adoperarono per la bonifica di parte dei territori paludosi.
Lo storico romani Tito Livio riporta la notizia che un tempo sui territori della pianura pontina sorgevano 23 città delle quali non è noto il nome nel la collocazione e delle quali non sono state rinvenute tracce durante i diversi interventi di bonifica.
E’ opinione che tali territori non offrissero le condizioni per costruire insediamenti stabili per via della natura e morfologia pianeggiante del territorio che, in ogni tempo, non assicurava adeguate barriere difensive e condizioni durature per abitare. Le periodiche esondazioni, infatti, mutavano continuamente lo stato del territorio flagelato, inoltre, dalla comparsa della zanzara anofele portatrice della malaria. Infatti risulta, anche nei ricorsi cui la storia ci ha abituato, come le paludi pontine venissero sfruttate e non abitate, per diversi periodi dell’anno, quando le condizoni erano più favorevoli, principalmente per la pesca, la coltivazione di alcune colture, il pascolo del bestiame, la produzione di carbone o la raccolta di legna, la cacciagione ecc. Dunque le attività connesse allo sfruttamento delle risorse che offriva la palude inducevano periodicamente le popolazioni ad abitare in piccoli gruppi quei luoghi con abitazioni di fortuna e provvisiorie. Pertanto, da sempre, questi territori non hanno avuto una popolazione nativa, autocnona ed omogenea ma venivano “invase” dalle antiche tribù laziali quali gli Equi, i Marsi, i Volsci, gli Ernici, Sanniti ed i Latini. Anche in tempi più recenti e con i vari tentativi volti alla bonifica della palude, soprattuto ad opera del papato, le “incursioni” in questi territori hanno interessato genti che provenivano, oltre che dai monti Lepini, anche dalla ciociaria, da parte dell’Abruzzo e della Campania.