La via Appia ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della pianura pontina specie quando era paludosa in quanto, da un lato, il mantenimento in efficenza e l’ammodernamento della strada inveitabilmente interessava anche parte del territorio circostante specie nel prevenire gli allagamenti, dall’altro, ha fornito incidentalmente l’occasione affinchè giungessero a nostri giorni testimonianze dello stato di quei luoghi nelle varie epoche attraverso le descrzioni e le illustrazioni (foto: incisione del Rossini) che ne facevano i viaggiatori in transito. Il 23 Febbraio del 1787 Goethe, nel suo , descrive ” Le Paludi Pontine sono l’angolo più selvaggio e affascinante d’Europa“. Il più famoso viaggio sull’Appia è quello narrato da Orazio nella quinta satira del primo libro. Il poeta, che accompagnava Mecenate in una missione in Grecia, descrive le avventure e le disavventure di un viaggio che durò circa due settimane. ‘E così Forappio, borgo laziale lungo la via Appia distante circa 26 miglia da Ariccia, Orazio, al verso 4, lo qualifica “pieno zeppo di barcaioli e di osti esosi” (differtum nautis cauponibus atque malignis) ed al verso 7 “(centro) dalla pessima acqua” (aqua deterrima); Anxur, antica fortificazione dei Volsci le cui rovine sovrastano Terracina, la descrive, al verso 26 come “posta su rocce che biancheggiano da lontano” (impositum saxis late candentibus)’. Nella terza Satira Giovenale cita così la palude pontina: “tutte le volte infatti che la palude Pontina e la pineta Gallinaria sono presidiate da guardie armate, i briganti si riversano a Roma, come se fosse una riserva”
Quando ci si riferisce alla Via Appia nei pressi di Terracina si rischiano equivoci ed incomprensioni. Di Vie Appie, infatti, a Terracina ce ne sono … almeno tre!
Se consideriamo solo le più importanti varianti e modifiche. Trascuriamo per il momento Via Roma, in gran parte coincidente con l’ultimo tracciato voluto da Pio VI o, meglio, dal suo architetto Valadier, quando progettò l’impianto del Borgo Pio, o Centro Storico Basso, alla fine del ‘700. Posti questi limiti, i tracciati antichi dell’Appia, in sostanza, si riducono a due: quello di Appio Claudio e quello di Traiano.
Il percorso di Appio Claudio Ceco (312 a.C.): Saliva ed attraversava la città alta, piegava verso nord, all’altezza del colle di San Francesco, per dirigersi verso l’attuale cimitero. Superata la sella che si trova a 154 metri di quota, il tracciato curvava in direzione di Piazza Palatina e cominciava a discendere verso la Piana di Fondi, fino a congiungersi con il successivo percorso traianeo in prossimità dell’odierno km 108 dell’Appia attuale. B. La variante voluta da Traiano (112 d.C.) intendeva evitare l’attraversamento della città alta e la poco agevole salita, ma la scelta del percorso a valle comportava il taglio della rupe del Pisco Montano.
Il nuovo tracciato si separava dall’antico, in prossimità dell’attuale Piazza 4 Lampioni ed aggirava la città dal basso, tenendosi qualche decina di metri più a monte dell’attuale Via Roma. La strada lambiva quindi il mare all’altezza del Pisco Montano fino a ricongiungersi al tracciato più antico all’altezza del km 108 dell’Appia attuale. Nell’attraversamento della Palude Pontina, l’Appia, anche in tutti i suoi restauri, ricalcò il primitivo percorso rettilineo di 36 km, corrispondenti a 19 miglia romane : il Decennovium, da Tor Tre Ponti a Punta Leano. La località mediana su questo rettifilo era ed è rappresentata da Mesa: l’antica mutatio, per il cambio dei cavalli. Anche l’attuale casale fu utilizzato fino al primo quarto del secolo scorso come stazione di posta sull’Appia nuovamente riaperta al traffico da Pio VI nel 1784. L’attuale numerazione chilometrica segna la cifra 85, in realtà siamo al miglio LI (51° da Roma).
I resti di un grande mausoleo testimoniano la riconoscenza dello schiavo Clesippo per la sua impudica patrona, Gegania, che lo aveva voluto erede unico delle sue immense ricchezze. (Plinio: N. H. 34, 3, 11) Due colonne indicatrici delle miliare XLVIII e XLVIIII sono state recuperate e poste ad ornamento dell’ingresso all’androne di Mesa. Ambedue ricordano uno dei tanti restauri della Regina Viarum: quello voluto dall’Imperatore Traiano. Il cippo di destra reca anche la cifra VI in alto, ad indicare la corrispondenza del 6° miglio del Decennovium con il 49° miglio da Roma. Il Ponte Maggiore (qui da un’antica stampa ridisegnata a china da Elisabeth Selvaggi) fu minato e fatto saltare dai Tedeschi in ritirata durante la Seconda Guerra Mondiale. Il ponte romano coincideva con il moderno che scavalca il fiume Amaseno all’attuale km 94,400. Al termine del rettifilo, per chi viene da Roma, all’altezza dell’attuale chilometro 96,100, l’antica strada deviava verso Punta Leano, passando su Ponte Alto. Anche questo ponte fu distrutto durante l’ultima guerra dai tedeschi (l’immagine è tratta da una stampa del 1700).
Fu invece risparmiato il vicino, ma più piccolo, Ponte su Fosso Granci. Si noti che l’esatta denominazione locale è: Fosso dei granci o, dei ranci, corrispondente all’italiano: granchi. Il nome locale era, fino a qualche anno fa, pienamente giustificata dalla numerosa presenza dei granchi di fiume lungo l’argine del fossato. Feronia. Alle pendici estreme del Monte Leano, numerose sorgenti pedemontane sono tributarie dell’antica palude ed obbligarono i costruttori dell’Appia a terrazzare a valle la strada con i soliti grandi blocchi di calcare. Qui sorgeva un tempio ed un bosco sacro alla dea Feronia. Lo riferisce Virgilio nell’Eneide ed Orazio nella V Satira. Il grammatico Servio riporta che all’interno del tempio avveniva l’affrancazione degli schiavi benemeriti.
Era consuetudine presso i Romani porre le tombe lungo i tratti extraurbani delle strade principali. Terracina romana non sfugge all’uso e, lungo l’Appia si incontrano numerosi resti di tombe. Ne sono state riconosciute 47 nel tratto superiore, compreso tra Piazza Palatina e la città, 22 nella parte bassa a cominciare da questa prima, di tipo circolare, che si trova all’ingresso della Valle. (cfr. A.R. Mari, ’88). Le due tombe più grandi giustificano il nome dato alla contrada: I Monumenti. Questa prima, del tipo a podio, alta otto metri e mezzo, conserva il solo nucleo privo del rivestimento. La camera sepolcrale si trova nella parte posteriore, rispetto alla Via Appia. Quasi altrettanto alta della precedente e dello stesso tipo a podio, la tomba era rivestita in basso di opera quadrata ed in alto di ancora visibile opera quasi reticolata. Soprattutto questa seconda tecnica induce a datare la costruzione alla prima metà del I sec. A. C. [tratto da terrapontine.it]
Il tratto della via Appia che interessa l’attraversamento delle paludi pontine, che oggi insiste sui territori del comune di Latina, Pontinia e Terracina, nei numerosi interventi di restauro e modifiche che si sono sovrapposti nei secoli, è rimasto fedele al primitivo percorso rettilineo tracciato da Appio Claudio Ceco. Tale tratto, lungo 36 Km, corrispondenti a 19 miglia romane, è noto nell’antichità proprio con il nome di Decennovium e parte da Tor Tre Ponti e termina a punta Leano. Nella parte centrale del Decennovium sorge Mesa , l’antica stazione per la mutatio dei cavalli, che prende il nome proprio dalla sua posizione mediana rispetto al rettifilo (ad medias). L’attuale numerazione chilometrica segna la cifra 85, in realtà siamo al miglio LI (51° da Roma) come risulta anche dal nome della strada migliara che interseca la via Appia proprio nei pressi di Mesa. I resti di un grande mausoleo di epoca romana (I sec. a.C.), le colonne indicatrici delle miliare XLVIII e XLVIIII, recuperate durante gli interventi di Boniifica ad opera di Papa Pio VI (1784), insieme ad altri reperti rinvenuti sono, visibili in loco.