MAESTRI. LEZIONI DI STORIA. Gli spazi di liberta’ intellettuale all ‘ interno di un regime provinciale e autoritario. L’ analisi di un grande studioso
FASCISMO. Vedi alla voce cultura
De Felice: Freud e Le Corbusier scrivevano al duce. In teatro, Brecht e Lorca. La politica della razza nel ‘ 38 privo’ l’ Italia di scienziati di valore come Segre’ e Fermi. Ma non per questo la quantistica e la teoria della relativita’ furono messe al bando. Perche’ la ” scienza ariana ” non attecchi’ in Italia
[…] Il gruppo dirigente fascista non era infatti certo indifferente alla cultura umanistica e in particolare a quella storica e la considerava anzi un elemento importantissimo per la ricerca del consenso, per l’ edificazione dello “Stato nuovo” e la formazione dell’ “uomo nuovo” fascista. Almeno in un primo tempo, nella logica, semplificatrice ed attenta soprattutto ai rapidi risultati, del fascismo (e dovendo tener conto degli equilibri interni del regime cosi’ come andava prendendo corpo), tutto cio’ , piu’ che attraverso l’ apporto dell’ alta cultura, doveva essere conseguito attraverso quello della cultura di tipo scolastico e di massa. Di qui l’ attenzione attribuita, piuttosto che alle istituzioni classiche dell’ alta cultura, ad una serie di altre istituzioni create ad hoc dal fascismo e che avevano come scopo un’ azione culturale di massa a livello intermedio, tra i giovani, i cosiddetti uomini di cultura media, gli insegnanti elementari e medi. Caratteristica di questo indirizzo fu la creazione, nel 1925, dell’ Istituto nazionale fascista di cultura, organizzato sulla base di una capillare rete di istituti locali. Ai fini del fascismo l’ alta cultura e, in definitiva, anche le arti sembrarono a lungo servire assai meno: tutto sommato era sufficiente poterne presentare, all’ interno e all’ estero, alcuni nomi piu’ prestigiosi come quelli di buoni fascisti, espressione dei piu’ genuini valori della stirpe italica. Tipica in merito e’ la utilizzazione che il fascismo fece di Pirandello nel periodo successivo al delitto Matteotti e cio’ anche se tra i fascisti non mancavano coloro (Farinacci, Corradini, ecc.) che lo osteggiavano e contestavano la concezione della vita che le sue opere lasciavano trasparire. Per il resto, il concreto lavoro scientifico dell’ alta cultura, purche’ non creasse intralci politici, interessava relativamente poco. Tant’ e’ che ci si puo’ chiedere se negli anni immediatamente successivi alla presa del potere (grosso modo per tutti gli anni Venti) sia esistita effettivamente una politica fascista volta ad influire sugli orientamenti dell’ alta cultura e, piu’ in genere, delle arti o, piuttosto, da parte fascista non ci si limito’ quasi solo, per un verso, a neutralizzare, mettere la sordina e, in certi casi, far tacere le voci troppo dichiaratamente antifasciste (in questa logica, oltre che in quella del prestigio, vedrei l’ istituzione dell’ Accademia d’ Italia, volta a mettere in ombra quella dei Lincei nella quale, appunto, gli antifascisti erano numerosi) e, per un altro verso, a riassorbire con “magnanimita’ ” e lusinghe le altre; tipico e’ a questo proposito l’ atteggiamento verso molti firmatari del “manifesto Croce”, che, non a caso, suscito’ le ire dei fascisti piu’ intransigenti. (…) Alla lunga, questa politica della cultura avrebbe mostrato la corda e avrebbe trovato in Bottai il piu’ consapevole ed abile avversario e il piu’ deciso sostenitore della necessita’ di agire su tutta la cultura e, dunque, anche su quella ai livelli scientifici piu’ alti, sulla letteratura e sulle arti. Ma questo sarebbe avvenuto dopo la guerra d’ Etiopia, quando il processo di totalitarizzazione del regime subi’ una drastica accelerazione, e, del resto, pote’ realizzarsi solo parzialmente. In parte per il sopravvenire di li’ a pochi anni della guerra, che costrinse il regime a rivedere tutte le sue priorita’ e ad evitare il piu’ possibile divisioni interne che indebolissero vieppiu’ la compagine nazionale, in parte per il perdurare di alcuni caratteri che avevano contraddistinto la politica culturale fascista nel decennio precedente. Tra questi caratteri quelli sui quali e’ forse qui piu’ opportuno richiamare l’ attenzione erano i seguenti. 1) Il gruppo mussoliniano degli anni ‘ 14 18 e il primo fascismo avevano contato tra i loro aderenti un notevole numero di intellettuali. I nomi di molti di essi oggi a noi dicono poco o nulla (ma a quanti degli intellettuali di oggi non accadra’ lo stesso tra cinquant’ anni?), numerosi altri sarebbero diventati pero’ tra i piu’ noti della cultura italiana, specie di quella artistica. Si pensi, solo per ricordarne alcuni, a Carra’ , Rosai, Sironi, al gruppo dei futuristi attorno a Marinetti, a Maccari, Soffici, Bragaglia, Ungaretti, Pellizzi e via dicendo. Molti di costoro continuarono anche negli anni del regime a mantenere rapporti con Mussolini e soprattutto a rivolgersi a lui per i piu’ disparati motivi. Da qui il determinarsi, rispetto alla politica culturale del regime, di una serie di “spazi di liberta’ “, in parte concessi in parte presi direttamente dagli interessati, che spiegano a loro volta una serie di fatti altrimenti incomprensibili, come per fare un solo esempio, quello che autori come Brecht (nel 1930 31) e, addirittura, Garcia Lorca (dopo la sua tragica morte) potessero essere messi in scena (da Bragaglia) senza difficolta’ . 2) Qualcosa di simile era reso possibile dal carattere assai composito del gruppo dirigente fascista e dalla tendenza dei suoi esponenti piu’ dinamici a crearsi una propria base di consenso e talvolta di potere personale. Da qui la possibilita’ di trovare in questo o quell’ esponente del regime una sorta di protettore della propria autonomia e delle proprie iniziative di cui godettero a lungo (e in qualche caso sino alla fine) i vari gruppi e le varie tendenze culturali. Le vicende dei premi Bergamo e Cremona, l’ uno sotto l’ egida di Bottai e l’ altro sotto quella di Farinacci, ovvero quelle di riviste come “Vita nova” e “Nuovi problemi di politica, storia e economia”, dietro le quali erano Arpinati e Balbo, sono assai significative. Come significativo a riguardo e’ il ruolo che nella vicenda novecentistica ebbe a lungo Margherita Sarfatti. (…) 3) La concezione strumentale e pragmatica, tutta in funzione della sua politica, che della cultura aveva Mussolini, costituiva a sua volta la premessa per altri “spazi di liberta’ “, talvolta temporalmente circoscritti al perdurare delle contingenze politiche e degli umori personali che inducevano il “duce” a favorire questa o quella tendenza culturale o singole iniziative con aperture a prima vista incomprensibili ad intellettuali lontanissimi dal fascismo o addirittura antifascisti (in genere stranieri), talvolta permanenti: in genere, quando in gioco era l’ immagine del regime. (…) La decisione del regime di permettere a Benedetto Croce di pubblicare “La critica”, puo’ essere vista invece come una soluzione piu’ permanente; quale che fosse il danno che la rivista arrecava al fascismo in italia, molto maggiore per Mussolini sarebbe stato quello che una sua soppressione d’ imperio avrebbe arrecato ad esso all’ estero (…). Nella prima (concezione strumentale, ndr), invece, si deve vedere, per esempio, il benestare concesso all’ inizio degli anni Trenta . quando, dopo la Conciliazione, la cosa assumeva un sapore polemico contro l’ eccessiva invadenza cattolica . alla pubblicazione della “Rivista italiana di psicoanalisi”, salvo, dopo qualche anno, definire la psicoanalisi una “impostura nuovissima” e non contrastare le manovre ecclesiastiche che portarono alla soppressione della rivista. Quanto sin qui detto puo’ servire a dare una prima serie di elementi per farsi una idea della realta’ dell’ alta cultura e, in genere, della cultura di tipo non scolastico e di massa sotto il fascismo. Cio’ detto, debbo pero’ avvertire che, a mio avviso, ogni generalizzazione e’ tuttavia fuorviante. Per un approccio effettivamente storico al problema del rapporto fascismo cultura e’ infatti necessario . almeno allo stato degli studi . procedere per settori, per sottoperiodi che tengano conto dell’ evoluzione del regime fascista e della sua politica estera e senza farsi assolutamente condizionare da altri modelli, da altre realta’ quale quella nazista. Ugualmente bisogna guardarsi dal tracciare una troppo netta linea di divisione tra il periodo fascista e quello precedente: le peculiarita’ fasciste in materia di cultura, specie di alta cultura, furono assai poche e di scarsa incidenza risp
etto ai motivi di continuita’ che possono essere segnalati. A questi, tra l’ altro, bisogna rifarsi per una giusta definizione e comprensione del “provincialismo” della cultura italiana. A livello di massa la cultura italiana sotto il fascismo fu certo provinciale, chiusa a gran parte degli influssi piu’ moderni e stranieri, e, via via che gli anni passavano, sempre piu’ oppressiva, unilaterale, tendente ad affermare una serie di miti di stampo ruralistico nazionalistico e a sollecitare una concezione della vita e un comportamento vitalistico ed irrazionalistico. La trasformazione dell’ assetto scolastico, dalla riforma Gentile a quella Bottai, e’ sotto questo profilo significativa, cosi’ come e’ significativa la tendenza a trasformare l’ “istruzione” in “educazione nazionale” e a privilegiare sempre piu’ il momento politico sportivo militare dell’ insegnamento rispetto a quello piu’ propriamente culturale. Agli altri livelli e soprattutto a quello dell’ alta cultura (…) il provincialismo, le chiusure, furono in realta’ minori di quanto si afferma comunemente. (…) Ne’ rispetto al fascismo, almeno sino all’ intervento italiano nella guerra spagnola, vi fu nella cultura internazionale quella netta chiusura che invece vi fu rispetto al nazismo. (…) Due casi valgono a dimostrarlo: quello di Freud, che nell’ aprile 1933 invio’ a Mussolini il suo ultimo libro, Perche’ la guerra?, con una dedica autografa nella quale lo salutava come “l’ Eroe della cultura”, e quello di Le Corbusier, che, dal 1932 al 1936, cerco’ a piu’ riprese di essere ricevuto da Mussolini e di far accettare la sua opera di architetto e di urbanista per la progettazione di Pontinia, per l’ urbanizzazione della periferia di Roma e, infine, per la redazione del piano regolatore di Addis Abeba […]
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